17 dicembre 1993: Craxi al processo Enimont

Storie d’Italia/ Un venerdì 17 dicembre di qualche anno fa

«Come in questo stesso anno, nel 1993 il 17 dicembre cadde di venerdì…»

Su Destra.it, rubrica “Il Punto”, scrivo di Bettino Craxi convocato dal pubblico ministero Antonio Di Pietro a un’udienza, trasmessa sulle televisioni nazionali, del processo Enimont: sconfitto in partenza, Craxi diede una formidabile lezione di politica, di stile, di forza.

«No signori, uno non vale uno. Un Di Pietro che, con tutto a proprio favore, si fa mettere in tasca da un avversario ferito, immalinconito e consapevole che la sua carriera politica sta finendo male, non vale un Craxi che pur così malconcio sorride come se non fosse coinvolto in un processo penale, ma se stesse brillando dalla piramide di Panseca durante un congresso trionfale. Il “Robocop contadino” non ha davvero impallinato il “Cinghialone”. La storia non è sicura, diceva il gesuita Michel de Certeau, a onta di chi pretende di scriverla a proprio favore: ma soprattutto, la storia chiede il conto. E la storia è il croupier d’un gioco in cui il tavolo vince sempre: un gioco al cui tavolo possono stare soltanto i bravi pokeristi, non il primo qualunquista che passa – sia un ex poliziotto di Campobasso, o uno studente perdigiorno e mai laureato alla Federico II di Napoli, poco cambia.»

Tommaso de Brabant per Marco Valle e Destra.it

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Lettera a Virginia Raggi su Destra.it

Grazie Marco Valle & Destra.it per aver pubblicato, nella rubrica Società & Tendenze, la lettera all’avv. Virginia Raggi, sindaca di Roma, da parte di Tommaso de Brabant.

Spettabile avv. Virginia Raggi, nonché sindaco di Roma,

apprendo che Vi siete opposta alla proposta di tre vostri compagni di partito (Gemma Guerini, Massimo Simonelli e Andrea Coia), riguardante l’istituzione, nell’Urbe, d’un Museo del Fascismo. Me ne rincresce, l’avrei visitato molto volentieri; ma concordo, pur giungendo da premesse diverse, con la Vostra decisione.
L’iniziativa era mossa non da curiosità storica, dall’interesse verso quella che, per quanto breve, è stata una delle maggiori fasi della storia romana e italiana (financo europea, mondiale); piuttosto, dal solito agito (frainteso, al solito, dall’ANPI, che a ogni accenno – anche negativo – al fascismo strepita) calunniatore, demonizzante tanto diffuso in un’Italia e in un’Unione Europea che per convenienza agitano lo spettro del fascismo per distrarre l’opinione pubblica dai problemi, e dai colpevoli, reali. Negli ultimi anni, il crescente malcontento per un’Europa che è soltanto tutto quel che sta attorno alla sua Banca Centrale, e la conseguente ascesa di movimenti sovranisti e affini, hanno spaventato la cultura istituzionale, i cui sgherri costantemente additano il ritorno del fascismo quale pericolo cui si incorrerebbe non obbedendo alle marionette di Strasburgo e Bruxelles: iniziative editoriali, appelli papali, strilli al telegiornale, inserzioni su Facebook. L’iniziativa d’un “museo del fascismo” era mossa da questo stesso intento – il medesimo dell’ANPI che pure ha condannato il progetto: additare il fascismo quale pericolo incombente sui cittadini dell’Unione Europea, per distrarli dal fatto di essere vittime della stessa.
Vi ringrazio per esserVi opposta a questa proposta, la cui realizzazione non avrebbe portato a un risultato né storicamente, né culturalmente apprezzabile.

Sono molto legato alla città della quale siete, da quattro anni, sindaco. Dal settembre 2014 (in pieno malcontento per la terrificante amministrazione di Ignazio Marino, rinomato chirurgo genovese e pessimo sindaco romano, che ancora rivestendo la sua carica sbraitò che il fascismo deve stare nelle fogne, altro che musei…) la visito piuttosto spesso, e a essa sono legati incontri ed episodi il cui ricordo mi è caro. Per questo mi permetto, me ne scuso, di esprimere il mio parere su Roma e sulla sua vita.
Potreste pensare, gentile sindaco Raggi, che sia prevenuto nei Vostri confronti. Per nulla; anzi, parteggiavo per Voi (pur non potendo votare, non avendo ahimé la cittadinanza della città che è modello d’ogni altra), durante la campagna elettorale che Vi ha vista trionfatrice (con una scoppola di 67% a 33%). Il Partito Democratico aveva lasciato dietro di sé la pessima esperienza del sindaco Marino, e
il candidato Giachetti non prometteva meglio (arrivava a provare a screditarVi con delle calunnie); dal canto suo, il centrodestra non trovava né un candidato sindaco adeguato, né risposte ai tanti problemi di Roma. Sono sempre stato (e lo resto), mi perdoniate, un detrattore del Movimento Cinque Stelle; e non sono un cultore del nuovo che avanza. Però la novità che rappresentavate mi incuriosiva (per quanto mi inquietasse la Vostra poca esperienza politica: tre anni da consigliere comunale – mandato interrotto, cara grazia, dalle dimissioni di Marino). Poi lo ammetto, con quei lineamenti da brava ragazza, quelle fattezze minute, quell’eleganza sobria ma tutt’altro che trascurabile, quello sguardo da incantatrice mi avreste conquistato a qualsiasi iniziativa. Ammettevate una simpatia per la Lazio, ma la cavalleria mi ingiunge di mettere una dama al di sopra della mia fede calcistica che, tengo a ribadire, è giallorossa come le bandiere che garriscono sul Campidoglio.
Primo sindaco pentastellato a Roma, primo sindaco donna dell’Urbe: come dite Voi, “Sindaca”. Qui si fa la storia, cara avvocato, cara sindaco anzi, per cavalleria dico: cara sindaca Raggi. Per di più siete la sindaca che ha affrontato una sciagura quale quella del Covid.

Dicevamo, “sciagura”: il Vostro mandato, cara sindaca Raggi, è stato irto di difficoltà, sin da subito. Rammento quando, affranta, Vi rifugiaste sul tetto del Campidoglio, oppressa dai problemi d’una metropoli ingestibile, e dalle accuse, anche gravi, che Vi sono state rivolte. Non avevo ancora uno spazio sul quale esprimermi pubblicamente, altrimenti avrei implorato: lasciatela stare, piuttosto prendetevela con me, accusate me; purtroppo con i se non si combina nulla, e non potei impedirVi di versare lacrime sulle tegole del Campidoglio.
Ero perplesso, lo confesso, riguardo la Vostra gestione: ma devo riconoscere che non so come l’avrei affrontata al Vostro posto.
Ahinoi, al tempo di quella scena si era soltanto agli inizi: le critiche hanno cominciato a scemare soltanto alla fine della scorsa estate, quando il Movimento Cinque Stelle e il Partito Democratico, Vostro feroce accusatore (soprattutto a nefasta opera della Boschi, i cui sgarbi affrontaste con quella che fu scambiata per modestia, ma resta una lezione di stile – per non dire di quando entrambe Vi presentaste alla prima dell’Opera: surclassaste chiunque, sembravate un arcangelo), si allearono al governo; di colpo, le critiche più che quotidiane che, per fare un esempio, Repubblica Vi rivolgeva quasi smisero.
Cara sindaca Raggi, Vi scrivo da una testata che non ha la tradizione d’opportunismo che sin dalla sua fondazione contraddistingue Repubblica, e rimane distante da Voi. Ma come dicevo, non sono ostile né prevenuto nei Vostri confronti. Sono perplesso, sì, riguardo la Vostra gestione di Roma, ma riconosco che: i problemi della meravigliosa Urbe non si risolvono con la bacchetta magica; se Voi,
nonostante i sembianti da fata, non avete questa bacchetta magica, non l’ho nemmeno io, perciò non posso insegnarVi il difficile compito da sindaco.
Perciò Vi prego, gentile avvocato, di perdonarmi se, dall’entusiasmo per la Vostra nomina, sono scivolato in un atteggiamento critico. Comprenderete che non è dettato da tifoseria politica, ostilità preconcetta, saccenza; però Roma significa troppo per me, e vedere progetti pasticciati come il nuovo stadio della Roma o persino assurdi come la funicolare, il tracollo della nettezza urbana, gli autobus col ghiribizzo d’andare a fuoco in piena corsa, non poteva mantenermi convinto riguardo la gestione.

Questa, cara sindaca Raggi, carissima Virginia, è la lettera d’un Vostro ammiratore deluso, umilmente consapevole d’essere soltanto un passante, un visitatore distratto, mentre Voi scrivete un capitolo di storia. Siete la prima sindaca di Roma: il primo sindaco donna, la più giovane mai nominata, colei che è stata in carica durante l’emergenza del Covid, quando in città è arrivata la Formula E, quando sono stati ultimati i lavori per la terza linea della metropolitana… no, aspettiamo per dirlo, quando è stato realizzato lo stadio della Roma… vedi sopra. Siete una donna bella, elegante, dai modi garbati, con buoni titoli di studio, e Vi siete caricata sulle spalle un peso eccessivo.
La storia siete Voi, cara Virginia, e non lo scrivente. Così come il fascismo è storia, e il Movimento Cinque Stelle non lo è. Roma non necessita d’un museo del fascismo (che le intenzioni dietro alla sua edificazione siano serie o meno), perché Roma lo ospita già: le vestigia della Roma imperiale ne sono i prodromi, e gran parte della Roma novecentesca è stata edificata durante quel Ventennio che i Vostri colleghi di partito intendevano ricordare con deplorazione. Roma, di quell’era fascista, è già testimone; e lo sarà anche, cara sindaca Raggi, di quando il Vostro partito l’ha amministrata. Staremo a vedere come Roma ricorderà il Ventennio, e come ricorderà il Movimento Cinque Stelle.
Il Movimento Cinque Stelle non ha a che fare con la storia: non la fa, e non la può scrivere.

Vostro,
Tommaso de Brabant

T. de B. per Destra.it & tommasodebrabant.net