Lettera a Virginia Raggi su Destra.it

Grazie Marco Valle & Destra.it per aver pubblicato, nella rubrica Società & Tendenze, la lettera all’avv. Virginia Raggi, sindaca di Roma, da parte di Tommaso de Brabant.

Spettabile avv. Virginia Raggi, nonché sindaco di Roma,

apprendo che Vi siete opposta alla proposta di tre vostri compagni di partito (Gemma Guerini, Massimo Simonelli e Andrea Coia), riguardante l’istituzione, nell’Urbe, d’un Museo del Fascismo. Me ne rincresce, l’avrei visitato molto volentieri; ma concordo, pur giungendo da premesse diverse, con la Vostra decisione.
L’iniziativa era mossa non da curiosità storica, dall’interesse verso quella che, per quanto breve, è stata una delle maggiori fasi della storia romana e italiana (financo europea, mondiale); piuttosto, dal solito agito (frainteso, al solito, dall’ANPI, che a ogni accenno – anche negativo – al fascismo strepita) calunniatore, demonizzante tanto diffuso in un’Italia e in un’Unione Europea che per convenienza agitano lo spettro del fascismo per distrarre l’opinione pubblica dai problemi, e dai colpevoli, reali. Negli ultimi anni, il crescente malcontento per un’Europa che è soltanto tutto quel che sta attorno alla sua Banca Centrale, e la conseguente ascesa di movimenti sovranisti e affini, hanno spaventato la cultura istituzionale, i cui sgherri costantemente additano il ritorno del fascismo quale pericolo cui si incorrerebbe non obbedendo alle marionette di Strasburgo e Bruxelles: iniziative editoriali, appelli papali, strilli al telegiornale, inserzioni su Facebook. L’iniziativa d’un “museo del fascismo” era mossa da questo stesso intento – il medesimo dell’ANPI che pure ha condannato il progetto: additare il fascismo quale pericolo incombente sui cittadini dell’Unione Europea, per distrarli dal fatto di essere vittime della stessa.
Vi ringrazio per esserVi opposta a questa proposta, la cui realizzazione non avrebbe portato a un risultato né storicamente, né culturalmente apprezzabile.

Sono molto legato alla città della quale siete, da quattro anni, sindaco. Dal settembre 2014 (in pieno malcontento per la terrificante amministrazione di Ignazio Marino, rinomato chirurgo genovese e pessimo sindaco romano, che ancora rivestendo la sua carica sbraitò che il fascismo deve stare nelle fogne, altro che musei…) la visito piuttosto spesso, e a essa sono legati incontri ed episodi il cui ricordo mi è caro. Per questo mi permetto, me ne scuso, di esprimere il mio parere su Roma e sulla sua vita.
Potreste pensare, gentile sindaco Raggi, che sia prevenuto nei Vostri confronti. Per nulla; anzi, parteggiavo per Voi (pur non potendo votare, non avendo ahimé la cittadinanza della città che è modello d’ogni altra), durante la campagna elettorale che Vi ha vista trionfatrice (con una scoppola di 67% a 33%). Il Partito Democratico aveva lasciato dietro di sé la pessima esperienza del sindaco Marino, e
il candidato Giachetti non prometteva meglio (arrivava a provare a screditarVi con delle calunnie); dal canto suo, il centrodestra non trovava né un candidato sindaco adeguato, né risposte ai tanti problemi di Roma. Sono sempre stato (e lo resto), mi perdoniate, un detrattore del Movimento Cinque Stelle; e non sono un cultore del nuovo che avanza. Però la novità che rappresentavate mi incuriosiva (per quanto mi inquietasse la Vostra poca esperienza politica: tre anni da consigliere comunale – mandato interrotto, cara grazia, dalle dimissioni di Marino). Poi lo ammetto, con quei lineamenti da brava ragazza, quelle fattezze minute, quell’eleganza sobria ma tutt’altro che trascurabile, quello sguardo da incantatrice mi avreste conquistato a qualsiasi iniziativa. Ammettevate una simpatia per la Lazio, ma la cavalleria mi ingiunge di mettere una dama al di sopra della mia fede calcistica che, tengo a ribadire, è giallorossa come le bandiere che garriscono sul Campidoglio.
Primo sindaco pentastellato a Roma, primo sindaco donna dell’Urbe: come dite Voi, “Sindaca”. Qui si fa la storia, cara avvocato, cara sindaco anzi, per cavalleria dico: cara sindaca Raggi. Per di più siete la sindaca che ha affrontato una sciagura quale quella del Covid.

Dicevamo, “sciagura”: il Vostro mandato, cara sindaca Raggi, è stato irto di difficoltà, sin da subito. Rammento quando, affranta, Vi rifugiaste sul tetto del Campidoglio, oppressa dai problemi d’una metropoli ingestibile, e dalle accuse, anche gravi, che Vi sono state rivolte. Non avevo ancora uno spazio sul quale esprimermi pubblicamente, altrimenti avrei implorato: lasciatela stare, piuttosto prendetevela con me, accusate me; purtroppo con i se non si combina nulla, e non potei impedirVi di versare lacrime sulle tegole del Campidoglio.
Ero perplesso, lo confesso, riguardo la Vostra gestione: ma devo riconoscere che non so come l’avrei affrontata al Vostro posto.
Ahinoi, al tempo di quella scena si era soltanto agli inizi: le critiche hanno cominciato a scemare soltanto alla fine della scorsa estate, quando il Movimento Cinque Stelle e il Partito Democratico, Vostro feroce accusatore (soprattutto a nefasta opera della Boschi, i cui sgarbi affrontaste con quella che fu scambiata per modestia, ma resta una lezione di stile – per non dire di quando entrambe Vi presentaste alla prima dell’Opera: surclassaste chiunque, sembravate un arcangelo), si allearono al governo; di colpo, le critiche più che quotidiane che, per fare un esempio, Repubblica Vi rivolgeva quasi smisero.
Cara sindaca Raggi, Vi scrivo da una testata che non ha la tradizione d’opportunismo che sin dalla sua fondazione contraddistingue Repubblica, e rimane distante da Voi. Ma come dicevo, non sono ostile né prevenuto nei Vostri confronti. Sono perplesso, sì, riguardo la Vostra gestione di Roma, ma riconosco che: i problemi della meravigliosa Urbe non si risolvono con la bacchetta magica; se Voi,
nonostante i sembianti da fata, non avete questa bacchetta magica, non l’ho nemmeno io, perciò non posso insegnarVi il difficile compito da sindaco.
Perciò Vi prego, gentile avvocato, di perdonarmi se, dall’entusiasmo per la Vostra nomina, sono scivolato in un atteggiamento critico. Comprenderete che non è dettato da tifoseria politica, ostilità preconcetta, saccenza; però Roma significa troppo per me, e vedere progetti pasticciati come il nuovo stadio della Roma o persino assurdi come la funicolare, il tracollo della nettezza urbana, gli autobus col ghiribizzo d’andare a fuoco in piena corsa, non poteva mantenermi convinto riguardo la gestione.

Questa, cara sindaca Raggi, carissima Virginia, è la lettera d’un Vostro ammiratore deluso, umilmente consapevole d’essere soltanto un passante, un visitatore distratto, mentre Voi scrivete un capitolo di storia. Siete la prima sindaca di Roma: il primo sindaco donna, la più giovane mai nominata, colei che è stata in carica durante l’emergenza del Covid, quando in città è arrivata la Formula E, quando sono stati ultimati i lavori per la terza linea della metropolitana… no, aspettiamo per dirlo, quando è stato realizzato lo stadio della Roma… vedi sopra. Siete una donna bella, elegante, dai modi garbati, con buoni titoli di studio, e Vi siete caricata sulle spalle un peso eccessivo.
La storia siete Voi, cara Virginia, e non lo scrivente. Così come il fascismo è storia, e il Movimento Cinque Stelle non lo è. Roma non necessita d’un museo del fascismo (che le intenzioni dietro alla sua edificazione siano serie o meno), perché Roma lo ospita già: le vestigia della Roma imperiale ne sono i prodromi, e gran parte della Roma novecentesca è stata edificata durante quel Ventennio che i Vostri colleghi di partito intendevano ricordare con deplorazione. Roma, di quell’era fascista, è già testimone; e lo sarà anche, cara sindaca Raggi, di quando il Vostro partito l’ha amministrata. Staremo a vedere come Roma ricorderà il Ventennio, e come ricorderà il Movimento Cinque Stelle.
Il Movimento Cinque Stelle non ha a che fare con la storia: non la fa, e non la può scrivere.

Vostro,
Tommaso de Brabant

T. de B. per Destra.it & tommasodebrabant.net

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Clint Eastwood: 90 anni di leggenda

Oggi compie 90 anni una leggenda vivente: Clint Eastwood, nato a San Francisco il 31 maggio 1930, sotto il segno dei Gemelli. Cineasta statunitense, uno degli artisti più rappresentativi della storia del cinema e di quella d’America.

Speciale “Clint 90” su Destra.it:

Novant’anni di Clint Eastwood 1/ Dagli spaghetti western all’ispettore Callaghan

Novant’anni di Clint Eastwood 2/ Lo sguardo d’un genio ribelle sull’America profonda

Altri articoli:
Senza perdere la tenerezza: The Mule (su Giovani a Destra)
Senza perdere la tenerezza: The Mule, il nuovo anti-eroe di Eastwood (su Destra.it)
Il caso “Richard Jewell”: Clint Eastwood contro il Quinto Potere (su Destra.it)

tutti gli articoli sono scritti da Tommaso de Brabant per Destra.it
grazie Marco Valle per la pubblicazione

In evidenza

1000 Km Rossi: grazie Miriam Candurro

Oltre a essere uno dei volti più belli della televisione italiana, Miriam Candurro è una valida scrittrice. Ha pubblicato un romanzo, ne sta scrivendo un secondo e il quotidiano Repubblica ospita le sue riflessioni.
Col suo amico Andrea Bello, ha aperto un sito: “1000 km rossi.com“, una cronaca delle settimane che vedono l’Italia, e in maniere diverse tutto il mondo, bloccata per l’emergenza del COVID-19.
Ogni giorno, si alternano uno scambio di lettere fra Miriam e Andrea, e una pagina di diario di un ospite.

Il Venerdì Santo, ho inviato il mio diario, che è stato ospitato sabato, il 33° giorno di “1000 km rossi“:

QUI “Il cambiamento“, la mia pagina di diario.
(riproposta, nella sua integrità, anche qui sotto)

Grazie Miriam Candurro d’avermi ospitato!

Miriam Candurro

Cara Miriam,

credevo che il “mio” anno del cambiamento fosse stato il 2019, per quanto le (pur importanti) trasformazioni che ho attraversato, a fine anno non fossero ancora complete. Del resto, non si arriva mai.
Non potevo, così come nessuno poteva, immaginare uno stravolgimento come quello del 2020. Così radicale, così universale.

Guardo molto all’indietro, sono schiavo dei ricordi. Il che è bizzarro, perché il mio passato è recentissimo: comincia cinque anni fa, e ad aprile ne compio trentatré. Costruisco ogni nuova esperienza sulla base di quelle passate: questo dovrebbe condannarmi a una monotona stabilità, eppure ogni anno mi ha portato a degli stravolgimenti – obiettivi, attività, persino ambizioni.
Rimpiango molto il tempo perso: dove sarei, cosa farei, se non fossi “nato” così tardi?
Sto lavorando molto, in queste settimane, ma quel che mi turba di questo periodo è proprio il periodo: il tempo – l’impossibilità di movimento che ci tiene fermi sotto una campana di vetro.
Uno dei cambiamenti più belli dello scorso anno (e prosegue in questo), è stato l’incontro con una meravigliosa dottoressa con la quale ho un colloquio a settimana, a Milano in zona Porta Romana. Ci vediamo comunque, su Skype (mi vede nella soffitta che era la “grotta” di mio padre), ma ciò non lenisce la nostalgia dei percorsi prima e dopo il colloquio, di quello spazio di libertà di qualche ora a settimana, per andare a zonzo, ritirare i libri da Hoepli. Mi manca quella liturgia, mai identica a se stessa, basata sulle tappe di un percorso fatto con mia madre: i negozi in cui l’ho accompagnata, la pizzeria e la gelateria in cui abbiamo pranzato, la chiesa di San Satiro in cui mi ha fatto scoprire l’inganno di Bramante, la piazza San Babila dove siamo andati a teatro e da dove abbiamo cominciato la camminata per visitare una zia.
Un dettaglio crudele di questi giorni, è il cielo perennemente limpido, costantemente blu: non soltanto per la frustrazione di doverlo guardare, salvo qualche passeggiata con la scusa del cane da portare a spasso, da dentro le finestre; anche perché mi ricorda due viaggi – a New York e a Lione.
Scrivo queste note nel Venerdì Santo, rimettendo insieme i pezzi di qualche periodo pasquale degli anni scorsi. Sarà la prima Pasqua in isolamento, e a fine mese ci sarà il mio primo compleanno nelle stesse condizioni. Un dettaglio crudele di questi giorni, è il cielo perennemente limpido, il cielo costantemente blu (con buona pace del luogo comune della pasquetta sempre piovosa…). O una volta che, proprio
lo scorso aprile, fui ospitato per la notte di fronte alla torre della RAI… illuminata di blu. Quando ne tornai, il mio capo pubblicò un mio articolo su di un libro su Saint-Exupéry (a proposito di cielo) comprato a Lione, dopo di che ascoltai un disco di Bryan Ferry con la copertina blu. Ieri ho riletto un libro su Craxi, con in quarta di copertina non dei rossi garofani, ma una distesa blu.
L’estate scorsa, prima d’un colloquio da quella splendida dottoressa, nel cielo di Milano vidi stagliarsi aerei pilotati da colleghi (forse più prosaici) di Saint-Ex… ho poi comprato un orologio dal quadrante color del mare, che inaugurai proprio a quei colloqui. In questi giorni lo indosso, mi fa pensare a quei mesi, che spero tornino presto.

Lo stesso cielo di Roma, lo scorso settembre, quando intervistai il caro Maestro Pupi Avati. Un percorso celestiale, prima e dopo quel bell’incontro: dalla facciata bianca del Gesù che si staglia su di un blu intensissimo, a Piazza del Popolo e al cupolone di Michelangelo. Sono stato felice, a Roma, in certe giornate temporalesche, con l’atmosfera elettrica, e un mistero tutt’attorno. Ma la giornata ideale, a Roma, è così: come in un film degli anni ’70. Mi ha invece fatto malissimo, rivedere quei luoghi deserti. Infatti il buon Avati, nella sua bellissima lettera alla RAI, ha scritto d’un “silenzio cimiteriale in una città morta”. Ho avuto paura per lui, e per il mio ricordo con lui e per altri, legati a Roma: una bellissima famiglia di Prati, dei magnifici ragazzi genovesi con i quali ho condiviso tre soggiorni capitolini (tra la Balduina e Torre Argentina, con tradizionale cena in fraschetta), la mia mamma che insiste per farmi un regalo nel negozio della Roma.

Adesso vorrei tanto che ricominciasse il futuro. Prima che questo disastro dilagasse, avevo cominciato un nuovo percorso, col Corpo di Soccorso dell’Ordine di Malta. Ma proprio l’emergenza mi ha impedito di svolgere le visite mediche necessarie all’ammissione. Sono impaziente di sbrigare questa incombenza, e cominciare a essere parte di qualcosa, di un gruppo che mi sembra bello, grande.
Disastro che ha colpito la mia famiglia, facendomi improvvisare infermiere. Sono tornato, per svolgere questo “servizio”, in un luogo della mia infanzia: ho ripensato spesso al mio nonno Franco, un uomo molto intelligente stroncato dalla sua sola stupidaggine – la dipendenza dalle sigarette – diciannove anni fa. Ho ripensato alle partite a carte, al calcio in tv, ho rivisto la sedia su cui faceva le parole crociate e il tavolo su cui, dopo, puntellava il gomito per dormire con la testa appoggiata alla mano.

Spero che ricominci presto un futuro in cui, l’intrecciarsi e il ripercorrere dei ricordi, ne portino altri.

Un affettuoso saluto. Tuo,
Tommaso

1000 km rossi - diario degli italiani

Tommaso de Brabant per 1000kmrossi.com e per tommasodebrabant.net